Il problema della verità scientifica nel cambiamento climatico

Una decina di anni fa scoppiò lo scaldalo Climategate. Si scoprì che eminenti “scienziati del clima”, scambiandosi email tra loro, rivelavano candidamente come stessero giocando con il sistema delle pubblicazioni e manipolavano le statistiche. L’intento era di promuovere le loro idee preconcette, rispetto ai concorrenti ed enfatizzare i risultati più spaventevoli.

Il rispettato giornalista britannico Matt Ridley riporta che “La frode vera e propria è solo la punta dell’iceberg. Esagerare i risultati è una ragione molto più comune per cui le pubblicazioni scientifiche non possono essere trattate come sacre scritture”.

Come funziona questo perverso meccanismo, lo spiega proprio Patrick T.Brown, uno di questi scienziati del clima, diciamo così, pentito:

Se quest’estate hai letto notizie sugli incendi boschivi, dal Canada all’Europa, a Maui, avrai sicuramente l’impressione che essi siano principalmente il risultato del cambiamento climatico.

L’autorevole New York Times ha scritto: come il cambiamento climatico ha trasformato le rigogliose Hawaii in una polveriera.

E Il Sole 24 ore rincara la dose: Incendi, tempeste, alluvioni: un’estate di disastri climatici

Sono uno scienziato del clima. Sebbene il cambiamento climatico sia un fattore importante che influenza gli incendi in molte parti del mondo, non è nemmeno lontanamente l’unico fattore che merita la nostra esclusiva attenzione.

“La narrazione scientifica sul cambiamento climatico si adatta a una trama semplice che premia la persona che la racconta.”

Allora perché la stampa si concentra così intensamente sul cambiamento climatico come causa principale?

Forse per le stesse ragioni che ho appena scritto in un articolo accademico sugli incendi boschivi su Nature, una delle riviste più prestigiose al mondo: si adatta a una trama semplice che premia la persona che la racconta.

L’articolo che ho appena pubblicato “Il riscaldamento climatico aumenta il rischio di crescita estrema quotidiana degli incendi boschivi in ​​California” si concentra esclusivamente su come il cambiamento climatico ha influenzato il comportamento estremo degli incendi boschivi.

Nella mia ricerca ero cosciente di non dover cercare di quantificare aspetti chiave diversi dal cambiamento climatico, perché avrebbe reso meno drammatica la storia, che riviste prestigiose come Nature e la sua rivale, Science, vogliono raccontare.

E’ importante comprendere che è di fondamentale importanza per gli scienziati essere pubblicati su riviste di alto profilo. Gli editori di queste riviste hanno reso abbondantemente chiaro, proprio con ciò che pubblicano, o che rifiutano di pubblicare, quello che vogliono che dicano i documenti sul clima. Devono seguire la narrazione, anche se questa va a danno di una più reale conoscenza per la società.

Per dirla senza mezzi termini, la scienza del clima è sempre meno finalizzata a comprendere le complessità del clima e più a spaventare il pubblico sull’imminenza dei pericoli insiti nel cambiamento climatico. Questo approccio distorce gran parte della ricerca scientifica sul clima, disinforma il pubblico e, soprattutto, rende più difficile realizzare soluzioni pratiche.

Perché sta succedendo?

Tutto inizia con il fatto che la carriera di un ricercatore dipende da quante volte il suo lavoro venga citato e percepito come importante. Ciò innesca cicli di feedback auto-rinforzanti, quali il riconoscimento del nome, finanziamenti, domande di qualità da parte di aspiranti dottorandi o dottorandi e, naturalmente, riconoscimenti.

“La ricerca scientifica dovrebbe premiare la curiosità, l’obiettività spassionata e l’impegno a scoprire la verità”

Ma poiché negli ultimi anni il numero dei ricercatori è salito alle stelle, è diventato più difficile che mai distinguersi dalla massa. Quindi, anche se c’è sempre stato un enorme premio per la pubblicazione su riviste come Nature e Science, è anche diventato straordinariamente più competitivo.

In teoria, la ricerca scientifica dovrebbe premiare la curiosità, l’obiettività spassionata e l’impegno a scoprire la verità. Sicuramente queste sono le qualità che gli editori di riviste scientifiche dovrebbero valorizzare. Ma così non è!

In realtà, però, i pregiudizi degli editori (e dei revisori a cui fanno appello per valutare i contributi) esercitano una grande influenza sulla produzione collettiva di interi temi scientifici. Selezionano ciò che viene pubblicato da un ampio pool di voci e, così facendo, determinano anche il modo in cui la ricerca viene condotta in modo più ampio. I ricercatori più scaltri, ma anche più immorali, adattano i loro studi per massimizzare la probabilità che il loro lavoro venga accettato.

Lo so, perché sono uno di loro

Ecco come funziona.

La prima cosa che l’astuto ricercatore climatico sa, è che il suo lavoro dovrà supportare la narrativa mainstream. Vale a dire, che gli effetti del cambiamento climatico sono, sia pervasivi, che catastrofici. Il modo principale per affrontarli, non è proporre misure pratiche di adattamento, come infrastrutture più forti e più resilienti, migliori regolamenti edilizi e di zonizzazione, più aria condizionata o, nel caso di incendi, una migliore gestione delle foreste o linee elettriche sotterranee. Bisogna che sottolinei che la soluzione sono politiche volte a ridurre le emissioni di gas serra e in particolare di carbonio.

Faccio un secondo esempio: in un altro recente e influente articolo di Nature, gli scienziati hanno calcolato che i due maggiori impatti dei cambiamenti climatici sulla società sono le morti legate al caldo estremo e i danni all’agricoltura.

Tuttavia, gli autori ben si guardano dal menzionare, sia pure sommessamente, che il cambiamento climatico non è affatto la causa principale di questi impatti e nemmeno che le morti legate al caldo estivo sono in realtà in calo. Tanto meno che i raccolti sono effettivamente in aumento da decenni, nonostante il cambiamento climatico.

Riconoscere ciò, implicherebbe ammettere che esistono in alcune aree del mondo effetti positivi, nonostante, o a causa del cambiamento climatico. Non sia mai che passi questa idea, perché minerebbe le motivazioni per ridurre le emissioni di anidride carbonica.

Ciò porta a un’altra regola non detta nello scrivere un documento sul clima di successo: gli autori dovrebbero ignorare, o almeno minimizzare, le azioni pratiche che possono contrastare l’impatto del cambiamento climatico.

Se le morti dovute al caldo estremo stanno diminuendo e i raccolti stanno aumentando, allora è ovvio che possiamo superare alcuni dei principali effetti negativi del cambiamento climatico. Non dovremmo quindi studiare in che modo abbiamo raggiunto un buon risultato, per poterlo realizzare ancor più? Naturalmente dovremmo. Tuttavia, studiare soluzioni pratiche, piuttosto che concentrarsi sui problemi, semplicemente non susciterà l’interesse del pubblico, o della stampa. Ma ancor più, molti scienziati climatici tendono a considerare perfino sbagliata proprio questa prospettiva, cioè di utilizzare la tecnologia per adattarsi al cambiamento climatico. Per loro, affrontare il problema delle emissioni è l’unico approccio accettabile.

Ecco un terzo trucco: concentra l’attenzione di chi legge, enfatizzando i risultati con numeri strabilianti. Con questo intento abbiamo seguito la pratica comune di considerare la presunta variazione del rischio di un evento estremo e non il fatto in sé accaduto. Se la ricerca mostra numeri più grandi, si giustifica l’importanza del tuo lavoro, il suo posto legittimo sulla rivista Nature o su  Science e una conseguente ampia copertura mediatica.

Un altro modo per ottenere grandi numeri che giustifichino l’importanza della tua ricerca e che impressioni redattori, i revisori e i media, è valutare sempre l’entità del cambiamento climatico immaginandone gli effetti futuri tra 50 o 100 anni. Mi spiego: è pratica standard valutare gli impatti sulla società, utilizzando la quantità di cambiamento climatico a partire dalla rivoluzione industriale, ma ignorando i cambiamenti tecnologici e sociali avvenuti nel medesimo periodo.

Faccio un esempio: History of Britain Great Horse Manure Crisis of 1894 Sarebbe come calcolare il numero di cavalli da tiro presenti in una città di fine ‘800, il loro aumento esponenziale avvenuto in quegli ultimi 50 anni e relazionare il tutto con il problema dell’inquinamento da feci nelle strade e dei miasmi. Si estrapolerebbe con tanto di grafici adeguati e altisonanti, una loro continua crescita fino all’anno 2000. Si potrebbe dimostrare che la città nei prossimi 100 anni diventerà del tutto invivibile e i loro abitanti saranno costretti a fuggiti per non morire. Si potrebbe anche “gridare” che “Avete rubato i nostri sogni. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e voi parlate solo di soldi e di crescita economica. Come osate?”, “Bisogna intervenire subito”; la città è al “collasso“. Queste frasi le avete già lette di recente?

In realtà con questo ragionamento si commetterebbe l’errore di ignorare il progresso scientifico e, nella fattispecie, l’avvento delle automobili, delle metropolitane, ecc. Infatti nell’anno 2000, inaspettatamente per loro, si assiste alla scomparsa degli equini nelle città, se non in talune per scopo meramente turistico.

Ma questa è la pratica standard degli scienziati climatici: calcolare gli impatti per ipotetici scenari di riscaldamento futuri che, in realtà dovrebbero metterne a dura prova la credibilità, ignorando potenziali cambiamenti nella tecnologia e nella resilienza, che potrebbero ridurre, o perfino azzerarne l’impatto. Tuttavia, questi scenari apocalittici creano sempre buoni titoli.

Quanto al motivo per cui ho seguito la formula nonostante le mie critiche, la risposta è semplice: volevo che la ricerca fosse pubblicata nella sede di più alto profilo possibile. Quando ho iniziato la ricerca per questo articolo nel 2020, ero un nuovo professore assistente e avevo bisogno di massimizzare le mie prospettive di carriera di successo. Quando, in precedenza, avevo tentato di discostarmi da questo modo di fare, i miei articoli furono respinti in tronco dai redattori di prestigiose riviste e dovetti accontentarmi di sbocchi meno prestigiosi.

Per dirla in altro modo, ho sacrificato il contributo della conoscenza più preziosa per la società, affinché la ricerca fosse compatibile con il pregiudizio di conferma degli editori e dei revisori delle riviste a cui mi stavo rivolgendo.

Ho lasciato il mondo accademico più di un anno fa, in parte perché sentivo che le pressioni esercitate sugli scienziati accademici causavano una distorsione eccessiva della ricerca.

Ora, come membro di un centro di ricerca privato senza scopo di lucro, il Breakthrough Institute, sento molto meno la pressione di adattare la mia ricerca alle preferenze di importanti editori di riviste e del resto del campo. La nostra attuale ricerca, infatti, indica in maniera più approfondita, che i soli cambiamenti nelle pratiche di gestione delle foreste potrebbero annullare completamente gli impatti dannosi dei cambiamenti climatici sugli incendi.

Ma gli scienziati del clima non dovrebbero essere costretti a esiliarsi dal mondo accademico per pubblicare le versioni più utili delle loro ricerche. Abbiamo bisogno di un cambiamento culturale nel mondo accademico e nei media d’élite che consenta un dibattito molto più ampio sulla resilienza sociale al clima.

I media, ad esempio, dovrebbero smettere di accettare questi documenti per oro colato e indagare su ciò che è stato tralasciato. Gli editori delle riviste più importanti devono andare oltre un focus ristretto che spinge alla riduzione delle emissioni di gas serra, e i ricercatori stessi devono iniziare a opporsi agli editori o trovare altri posti in cui pubblicare.

Ciò che realmente dovrebbe contare non sono le citazioni per i giornali, i clic per i media o lo stato di carriera per gli accademici, ma la ricerca che aiuta effettivamente la società.

Questa sorta di fusione della scienza con la politica e una pseudo religione climatista, dovrebbe allarmare tutti, perché è, a tutti gli effetti, un ritorno al Medioevo. Coloro che affermano che “la scienza del clima è risolta” sono politici o cattivi giornalisti, non scienziati.

Articolo originale I Left Out the Full Truth to Get My Climate Change Paper Published

Liberamente tradotto ed adattato da Fausto Cavalli

Alcuni link per approfondire:

A CRITICAL ASSESSMENT OF EXTREME EVENTS TRENDS IN TIMES OF GLOBAL WARMING – Breve cronistoria della vita travagliata dell’articolo e della sua retraction http://www.climatemonitor.it/?p=58501

The Breakthrough Institute  https://thebreakthrough.org/

Il grande collo di bottiglia della scienza sul cambiamento climatico  https://jessicaweinkle.substack.com/p/the-great-climate-change-science

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